“Riprogrammare”i geni del cuore, che a causa di stress determinati da altre patologie cominciano a funziona­re in modo differente, e combattere lo scompenso cardiaco, una delle principali cause di mortalità in Occi­dente. Per il momento è solo un’ipotesi, ma per il cardiologo Roger Foo, della University of Cambridge e del Cardiovascular Research Institute and Genome Institute di Singapore, potrebbe anche diventare realtà, alme­no a giudicare dagli studi e dai risultati di esperimenti di laboratorio che fanno ben sperare. Studi illustrati dal­l’esperto in occasione di due lezioni italiane promosse, a Roma e Firenze nei giorni scorsi, dalla Fondazione Sigma-Tau.”ll cuore può essere sottoposto a diversi stress dovuti a differenti patologie – ha spiegato Foo – che vanno dal diabete all’ipertensione. Circostanze alle quali cerca di ‘adattarsi’ per rispondere ai diversi danni. Ma in questo processo di adattamento si determina una modificazione dell’espressione dei geni dell’organo car­diaco, pur non venendosi a determinare una variazione nella sequenza del Dna. Proprio questo diverso fun­zionamento dei geni, è la nostra ipotesi, può a sua volta determinare un danno e portare a scompenso car­diaco”. L’obiettivo dunque, secondo Foo, è quello di arrivare a riportare i geni “programmati” alla loro attività normale, ossia a “riprogrammarli”, per prevenire il malfunzionamento del cuore. In particolare, Foo ha ap­profondito le sue ricerche in quella “fascia grigia” che sta tra le caratteristiche genetiche della cellula e la sua espressione fenotipica. E lo ha fatto attraverso una valutazione puntuale delle varie modificazioni epigeneti- che – susseguenti lo scompenso cardiaco ed essenzialmente basate sui meccanismi della metilazione e del­l’ossidazione – che agiscono in ogni momento nel nostro organismo e che fanno sì che la trascrizione di quan­to contenuto nel Dna non sia mai uguale a se stessa.”La natura di questi studi ha un’importanza assai elevata – ha detto Gianfranco Gensini, Preside della Facoltà di medicina e chirurgia, Università degli Studi di Firenze – poiché queste stesse variazioni sono in grado di indurre l’insufficienza cardiaca e di accentuarsi per effetto del­lo scompenso cardiaco. Ma, in particolare, l’interesse di questo contributo scientifico è quello di rappresenta­re un punto d’incontro tra una competenza molto avanzata sul piano biogenetico e l’insieme di casistiche cli­niche che consentono, attraverso il passaggio di evidenza sperimentale nei modelli animali, di studiare questi stessi elementi nei pazienti. Ad esempio, si può pensare di riuscire a interferire con queste variazioni epigene- tiche reindirizzandole verso variazioni che siano vantaggiose ai fini della funzione cardiaca, da un punto di vi­sta terapeutico. In un vicino futuro, potrebbe esser possibile una ri-programmazione delle cellule cardiache – o meglio, un’azione che possa consentire una trascrizione diversa, favorevole per il paziente colpito da scom­penso cardiaco”. “Capire quali siano gli effetti del danno e i meccanismi di ri-programmazione cellulare diven­ta fondamentale per intervenire nella storia naturale o progressione dell’insufficienza cardiaca e riportare nel­la norma ciò che si era “sprogrammato” in base ad un danno primitivo” ha detto Francesco Fedele, Direttore della 1 a Cattedra di cardiologia Facoltà di medicina, Università di Roma La Sapienza.”In questo senso – ha ag­giunto – credo che abbia una prospettiva senz’altro concreta l’uso delle cellule staminali, che abbiamo anche nel cuore, ai fini di incrementare gli effetti riparativi e dunque terapeutici. Usando una metafora informatica, capire tutto questo significa gettare una luce su quali sono i software in uso nelle cellule cardiache senza in­tervenire sull’hardware del cuore-computer”. In merito ai tempi di realizzazione di tutto questo, “siamo sicura­mente avanti”, ha ricordato Fedele, disponendo già di “consolidati modelli di studio epigenetico in sperimen­tazione animale”:”! laboratori di ricerca che collaborano con l’Università di Roma Sapienza stanno iniziando ad applicare queste tecnologie epigenomiche anche su tessuto umano tratto da biopsie, a fini terapeutici pros­simi a venire. Si dà così un’ulteriore risposta a quella che è da considerare l’epidemia mondiale dei nostri anni nell’ambito delle malattie non trasmissibili: l’epidemia da insufficienza cardiaca che, solo in Italia, colpisce mi­lioni di individui”. Oggi, per esempio, possiamo affermare che non si muore più di infarto acuto grazie alle tec­niche di angioplastica, di ri-vascolarizzazione immediata, ma sappiamo anche che i pazienti salvati da infarto poi sviluppano insufficienza cardiaca. Conoscere i meccanismi di riprogrammazione cellulare a fronte di in­sufficienza cardiaca rappresenta pertanto un passo avanti di enorme importanza ai fini di non consentire al­l’insufficienza di divenire irreversibile e dunque morire”. ( Fonte: Quotidiano Sanita.it)

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