Prolasso Valvolare Mitralico
Agli inizi degli anni ’80, la crescente disponibilità dell’ECO e le incomplete conoscenze si resero responsabili di un numero elevato di false diagnosi di sindrome da prolasso della valvola mitrale (sindrome di Barlow). L’epidemia di false diagnosi si estese anche alla popolazione sportiva, dando luogo ad una serie di vittime innocenti, vale a dire atlete ed atleti ai quali, in alcuni centri, fu sistematicamente negata l’idoneità allo sport per il semplice fatto di essere portatori dei segni ecocardiografici della sindrome.
Sebbene il prolasso della valvola mitrale (PVM) rimanga tuttora l’anomalia valvolare di più frequente riscontro in ambito medico sportivo, negli anni a seguire, il problema è stato notevolmente ridimensionato,
I medici dello sport hanno imparato a “gestire”, nella maggioranza dei casi, gli sportivi con prolasso della valvola mitrale e a rivolgersi a Centri di II e III livello solamente quando esistono controversie tra i vari consulenti e/o l’anomalia sia di grado rilevante.
L’approccio ad uno sportivo con PVM si fonda, infatti, su due aspetti principali:
– una diagnosi corretta (nell’atleta di alto livello il problema può essere meno serio di quanto si creda, l’allenamento può infatti indurre modificazioni significative del quadro clinico-strumentale);
– la valutazione prognostica ai fini del giudizio di idoneità all’attività sportiva, considerando che l’anomalia ha significato spesso benigno, ma talora è responsabile di complicanze gravi inclusa, seppur raramente, la morte improvvisa da sport.
Definizione di Prolasso Valvolare Mitralico
Con il termine di PVM si definisce il dislocamento superiore o la protusione di uno o entrambi i lembi mitralici in atrio sinistro durante la sistole, causato da anomalie strutturali dell’apparato mitralico (lembi, corde tendinee, muscoli, papillari, annulus). Il grado di protrusione, e la conseguente alterazione delladinamica dei lembi valvolari, può variare da lieve a grave ed essere responsabile di rigurgito valvolare, anch’esso d’entità variabile, ma di solito modesto.
Tale definizione di prolasso valvolare mitralico sembrerebbe semplice ed esaustiva, ma non lo è se si considera che l’elemento principale è costituito da un aspetto esclusivamente anatomico, spaziale, vale a dire l’anormale protrusione in atrio sinistro dei lembi mitralici, la cui reale definizione è però tutt’altro che agevole. Ad esempio, per definire il PVM, gli Autori anglosassoni hanno utilizzato altri termini oltre a quello iniziale di mitral valve prolapse, quali floppy valve, billowing mitral valve, flail valve, termini non sempre equivalenti tra loro, che hanno generato in passato una certa confusione negli stessi studiosi.
Attualmente, il termine “floppy valve” (valvola floscia) è riservato ai casi con evidenti alterazioni strutturali della valvola (allungamento e ridondanza dei lembi) ed insufficienza mitralica rilevante,” cioè ai casi che noi definiamo “prolasso vero o prolasso serio”. Il termine ‘flail valve’ (valvola fluttuante) indica, invece, una condizione ancora più grave, nella quale la rottura di una o più corde tendinee provoca la fluttuazione nell’atrio di uno o entrambi i lembi.” Il termine sindrome del PVM andrebbe riservato ai casi nei quali alle anomalie morfo-funzionali della valvola si accompagnano segni e sintomi di disfunzione autonomica e/o neuroendocrina e/o ad altri segni patologici quali le aritmie.
La prevalenza del prolasso valvolare mitralico, nella popolazione generale, varia tra lo 0,3 ed il 17%, ma è stimabile in media attorno al 4-6%. Colpisce maggiormente il sesso femminile (rapporto di circa 2:1 in media), con massima concentrazione nei soggetti con habitus “sottile”. Nelle donne sono stati osservati due picchi di prevalenza rispettivamente nella terza e quinta decade di vita, mentre negli uomini il picco è collocato nella seconda, dopo la quale si osserva una tendenza al decremento con l’età. La prevalenza del PVM appare elevata anche in età pediatrica, nella quale è egualmente evidente l’associazione con l’habitus precedentemente segnalato. In uno studio italiano, effettuato anni fa in una popolazione studentesca, vicina come composizione a quella che frequenta gli ambulatori di Medicina dello Sport, aspetti ECO 2D di PVM risultarono presenti nel 6,4% dei casi, ma solo lo 0,5% aveva un “prolasso vero” (con lembi ridondanti, annulus dilatato ecc.).
La prevalenza del prolasso valvolare mitralico stata indagata anche nella popolazione sportiva d’elevato livello agonistico. Il primo studio fu quello delle Olimpiadi di Montreal del 1976 che mostrò una prevalenza “allarmante” (22%). Nello studio dell’Istituto di Scienza dello Sport, la prevalenza del PVM in atleti probabili olimpici è apparsa del 3,2%, un valore simile a quello della popolazione generale. La prevalenza è più alta in atleti/e con habitus corporeo longilineo ed elevata statura. In uno studio, condotto su 60 giocatori e 30 giocatrici delle nostre squadre nazionali di pallavolo, la prevalenza totale è stata del 23.3%, inferiore negli uomini (18.3%) rispetto alle ragazze (33,3%). L’elevata prevalenza in quest’ultime, conferma quanto si osservò molti anni prima in giocatrici di basket. D’altronde, utilizzando criteri ECO selettivi, si era rinvenuto un prolasso valvolare mitralico in circa il 7% di bambini ed adolescenti praticanti diversi sport, in particolare nel minibasket (11 %). Naturalmente, sia nella popolazione generale sia in quella sportiva, la prevalenza del PVM sale significativamente se si prendono in considerazione casistiche ambulatoriali, costituite cioè da soggetti giunti all’osservazione non casualmente ma per anomalie dell’ECG e/o disturbi soggettivi.
All’ECG si possono ritrovare anomalie della fase di ripolarizzazione ventricolare, interessanti soprattutto l’onda T ed il tratto ST, e disturbi del ritmo, per lo più extrasistoli ventricolari. Un soggetto affetto da prolasso mitralico isolato (cioè non associato ad altre cardiopatie) può essere ritenuto idoneo alla pratica sportiva quando non si rilevino segni di compromissione della contrattilità miocardia. Si ricorda che, indipendentemente dai problemi di idoneità sportiva, questi soggetti devono comunque essere tranquillizzati a proposito della loro condizione, considerata soprattutto la benignità della patologia.
Costituiscono sempre una controindicazione assoluta all’attività sportiva le cardiomiopatie ipertrofiche, malattie del muscolo cardiaco ad eziologia sconosciuta, caratterizzate da una ipertrofia del setto interventricolare (forma asimmetrica) o della parete posteriore del ventricolo sinistro, oltre che del setto (forma simmetrica).
Il riscontro di un soffio sistolico all’apice cardiaco e lungo la linea marginosternale sinistra, o la comparsa di sintomi quali la dispnea da sforzo, vertigini, attacchi sincopali, associati a segni ECG grafici impongono un accurato approfondimento diagnostico al fine di confermare od escludere la presenza di cardiomiopatia ipertrofica.
I soffi di origine venosa sono da considerarsi di natura benigna; si ascoltano nella zona sopra e sottoclaveare, e si modificano o scompaiono con la flessione o l’estensione del collo o con l’abduzione delle spalle.